Le persone “fragili” nel periodo del Covid-19

Un’esclamazione naturale che a ognuno può salire alle labbra, tornando a casa esausti dal lavoro, con una giornata piena sulle spalle e sedendoci a tavola e la famiglia raccolta tutt’intorno: “Ma quanto è bello tornare e trovare qualcuno che ti aspetta con cui parlare, scambiare opinioni e raccontarsi le notizie su “com’è andata la tua giornata?!”

Alle volte chi gode di tutto ciò non si rende conto della sua fortuna.

In questo tempo di pandemia sono state citate molte categorie sociali: con attenzione particolare agli anziani, soggetti fisicamente deboli e quindi maggiormente esposti al rischio. Poi si è rivolta l’attenzione alle necessità dei lavoratori e ai loro datori di lavoro e ad ogni settore imprenditoriale, nondimeno si è pensato ai giovani e all’intero mondo-scuola. Si è ragionato e commentato facendo riferimento a queste tipologie sociali, spesso perdendoci dietro ad un’iperbole di numeri, di pareri, di dati di contagio, il tutto “condito” da cifre in rosso con riferimento alla situazione economica, presentando un quadro sempre più incerto e nebuloso, anche in prospettiva di quello che si farà o si potrà fare domani.

Stiamo dimenticando un’altra fetta di società, spesso marginale, in quanto tende a fare meno notizia e quindi attira meno la nostra attenzione: sono le persone fragili.

Pensiamo a tutte quelle situazioni nelle quali degli individui vivono soli, con problematiche di debolezza psicologica e di solitudine, già a rischio di emarginazione anche prima del dilagare della pandemia, che in questo periodo di Covid-19 si stanno smarrendo in dinamiche sempre più di solitudine, di chiusura e di isolamento.

Ci sono persone sole, isolate dal contesto sociale, persone “semplici”, oppure che hanno alle spalle storie tormentate dal punto di vista familiare e/o coniugale, o una vita afflitta da malattie psichiche e non solo fisiche.

È chiaro che questa pandemia comporta delle limitazioni, imposte dagli organi preposti a tutela della cittadinanza, che stanno pesando sugli equilibri di tutti, sia da un punto di vista personale, che sociale. Persone che vivevano una realtà di difficoltà già prima dell’avvento di queste restrizioni, ora si ritrovano aggiunto il peso del Covid-19, che sbilancia i sentimenti, amplificandoli nei loro echi di incertezze, inquietudini e provvisorietà. Infatti i problemi, le turbe, i disordini in ordine alla sfera psicologica ed esistenziale, stanno aumentando un po’ per tutti, ma soprattutto per quelle persone dotate di meno risorse di resilienza.

Il lockdown totale o parziale, diventa così un motivo in più per chiudersi nella propria solitudine, correndo il rischio di non ricercare più quei contatti sociali tra amici e parenti, che sono spesso l’unico stimolo per poter andare avanti. Pesa e soprattutto limita l’opportunità di quei pochi contatti e le relazioni fidate, e sono proprio questo tipo di persone dall’equilibrio già precario, che ne soffrono di più, e ne pagano il prezzo più alto. Tendono a chiudersi, isolandosi nel sicuro della loro casa o della loro camera, trascurando anche il semplice aspetto fisico e la pulizia di sè.

Per questo tipo di persone non c’è solo il Covid-19 con cui combattere: il loro sentimento di disperazione rischia di aumentare perché non trova sfogo, né soddisfazione in quando già prima avevano poche possibilità di confronto interpersonale, ma ora, non potendo uscire, ogni forma di aiuto risulta bloccata. La relazione con il vicinato, gli incontri con gli amici, le attività con i gruppi amatoriali o anche della semplice parrocchia, gli sportelli di aiuto, le azioni dei gruppi di volontariato, sono un elenco di occasioni di impegni quotidiani che sono qualità e motivo di vita e danno il limite alla propria esistenza ed esperienza. Sono risorse che permettono di vivere, trovando così speranza, giustificazione e sostegno per la propria realtà.

Allora ecco che una telefonata ad un amico e/o conoscente, una visita con la scusa di un caffè “a-distanza”, sono estremante preziose, in quanto il tempo trascorso assieme diventa il ponte che permette di andare avanti.

Come i genitori e la famiglia possono aiutare i figli nelle scelte di orientamento

Anzitutto presentiamo un percorso da compiere in pratica nel compito orientativo:

conoscere e rispettare le capacità e le attitudini dei figli, i gusti, le inclinazioni, le propensioni e gli interessi, aiutandoli a verificare se sono in realtà dati oggettivi, sostenuti da un adeguato rendimento scolastico;

confrontare le scelte con la personalità del figlio, tenendo presenti elementi importanti, quali l’autonomia, la stima di sé, la maturazione emotiva e sociale, la crescita, la costanza nell’impegno, l’acquisizione di un buon metodo di studio e di lavoro;

assumere informazioni complete ed oggettive sui percorsi scolastici e sulle opportunità lavorative, facendo attenzione a non sopravalutare certi aspetti di un’informazione non corretta e incontrollata;

sostenere emotivamente ed affettivamente i figli nella strada intrapresa, soprattutto di fronte alle difficoltà che si presentano nella scuola secondaria, all’università e nell’inserimento lavorativo.

In secondo luogo ecco alcuni suggerimenti che ogni genitore può tenere presenti, per non commettere errori o compromettere l’esito del suo aiuto nell’orientamento:

essere consapevoli che quello dell’orientamento è un ambito umano esposto per sua natura all’incertezza;

imparare ad usare e armonizzare bene tutti gli elementi che costituiscono il percorso di orientamento in vista di un possibile inserimento lavorativo;

affrontare dei “rischi calcolati”, tenendo conto simultaneamente delle possibilità e dei limiti, compresi i fattori di sviluppo della personalità e del contesto sociale ed economico;

motivare allo sforzo e all’impegno, senza eccedere nelle esortazioni e nei rimproveri verbali, ma usando una corretta pedagogia, allo scopo di conse­guire mete che danno senso alla vita e realizzano le aspirazioni più profonde e autentiche della persona.

 

La dispersione scolastica nella provincia di Treviso

Anche quest’anno ‘’il carrozzone scolastico’’ è partito: sono già tre mesi che la scuola è iniziata tra le problematiche legate al rischio Covid e le difficoltà sul green pass, di cui soprassediamo ….

In ogni caso, il periodo didattico di novembre e dicembre è concentrato soprattutto per una fascia specifica: ci riferiamo alle classi terze medie che proprio in questi giorni stanno entrando nel vivo rispetto al percorso orientativo. Infatti in questi mesi gli alunni sono chiamati alla scelta della scuola superiore, le iscrizioni vanno effettuate online entro il prossimo gennaio.

Purtroppo anche quest’anno open-day blindati per la pandemia, e le riunioni e la valutazione dell’offerta formativa dei vari istituti viaggia in rete, e questo può essere un ostacolo verso una scelta ponderata dell’istituto che i ragazzi andranno a frequentare.

Ma quali risultati può dare una non corretta scelta del percorso scolastico?

Sicuramente, in primis pensiamo all’insoddisfazione e alle conseguenti difficoltà scolastiche dell’alunno, ma senz’altro un errato processo di orientamento può contribuire a implementare il fenomeno della dispersione scolastica.

Per dispersione scolastica si intende quel fenomeno che comporta ‘una interruzione prima del conseguimento del titolo di studio terminale nel percorso scolastico dei ragazzi’’. Le cause e i fattori che possono influire sull’insuccesso scolastico sono molteplici: sia di tipo sociale, che di tipo personale e quindi può aver a che vedere con problematiche legate al rapporto scuola-famiglia, all’offerta culturale del territorio, ai vissuti emotivi personali o al gradimento dell’attività. La dispersione quindi è causata dall’insuccesso scolastico che si verifica quando gli studenti non riescono a dispiegare pienamente il loro potenziale di apprendimento, soddisfacendo i propri bisogni formativi.

L’attività di orientamento può avere un ruolo estremamente rilevante nel prevenire l’insoddisfazione dei propri bisogni formativi e quindi quelle difficoltà che si creano nel momento in cui l’allievo si trova a frequentare un percorso di studi non adatto alle sue capacità e alle sue propensioni. L’orientamento infatti si può tradurre anche come un incipiente e continuo percorso di conoscenza e scoperta di sé stessi, del proprio carattere, delle proprie abilità, delle proprie aspettative e speranze per il futuro. Oltre a ciò l’orientamento può aiutare a far luce sulle proprie attitudini, interessi, metodi di studio, … insomma i propri punti di forza e i propri punti deboli.

Gioco forza è facile comprendere come l’orientamento abbia un ruolo importante nella crescita e nella conoscenza di sé stessi al fine di permettere delle ‘’consapevoli scelte basate su effettive possibilità di realizzazione’’, in tal senso risulta evidente il carattere di prevenzione che l’orientamento può assumere, rispetto a fenomeni quali la dispersione scolastica, l’insuccesso e la frustrazione che ne deriva.

I dati più recenti in merito a ciò indicano che le percentuali si stanno mantenendo grosso modo sul livello degli anni precedenti, anche se ci sono state particolarità specifiche legate alla didattica a distanza e al problema che il rientro in presenza ha significato spesso una concentrazione di momenti valutativi).

Un modo per contrastare questo fenomeno rimane sempre l’importanza del “recupero della serenità, della motivazione e del sentire l’apprendimento come esperienza vitale’’ e il fondamentale supporto del ri-orientamento è necessario proprio per indirizzare gli allievi su percorsi alternativi rispetto a quelli scelti in un primo momento, al fine di evitare fenomeni quali: non essere ammessi all’anno successivo, ritirarsi da scuola prima della fine, abbandoni non formali.

I giovani e la depenalizzazione della cannabis

Per l’ONU la cannabis non è più un rischio: le Nazioni Uniti declassificano la cannabis e la eliminano dall’elenco dei narcotici.

Nuovi Paesi si preparano alla legalizzazione della marijuana. Tale scelta pur condivisibile sul piano terapeutico pone numerosi interrogativi per chi in forza di questa nuova lettura di classificazione pone fondamento la sua azione di liberalizzazione per motivi edonistici e ricreativi. Questa scelta che pone fondamento da situazione ideologiche di scelta di libertà, di combattere la mafia o l’illegalità, di per sé ha un elemento comune deresponsabilizzare il pensiero critico, omologare in un pensiero unico e togliere svuotare di speranza le nuove generazioni. È ormai risaputo che stiamo vivendo la più grande rivoluzione che la storia dell’umanità abbia vissuto, siamo all’interno di una dittatura che se pur non ci obbliga o ci limita noi tutti ci adeguiamo con il nostro modo di pensare di comportarci di entrare dentro ad una dipendenza che ci trasforma le nostre relazioni e rapporti. È un processo che nessuno di noi è in grado di prevedere quali siano nel prossimo futuro la ricaduta. Per questa premessa la decisone dell’ONU riveste una rilevanza che ognuno di noi dovrebbe riflettere sulla ricaduta che avrà o che ha sulle nuove generazioni.

In base alle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità, la Commissione delle Nazioni Unite sui narcotici ha deciso di riclassificare la cannabis, I 53 Stati membri della Commissione hanno votato per la rimozione della canapa dall’elenco delle droghe sottoposte a rigidi protocolli di controllo. La Cannabis, per le Nazione Unite non è una droga, La decisione (passata per un solo voto): «Riconoscerne le proprietà curative» Per l’Onu la cannabis non è più un rischio. Mercoledì, 2 dicembre, la Commissione per gli stupefacenti delle Nazioni Unite ha votato la rimozione della marijuana a scopo medico dalla lista delle droghe più pericolose del mondo. Una decisione che avrà una ricaduta sul nostro sistema sociale in particolare verso il mondo giovanile. Se formalmente assunta per allargare la ricerca sull’uso terapeutico della sostanza, potrebbe avere un impatto decisivo sulla depenalizzazione di cannabis e spinelli. La Commission on Narcotic Drugs, che ha sede a Vienna e comprende 53 Stati, nella sua riunione annuale ha infatti preso in considerazione soltanto una ‘raccomandazione’ del 2019 dell’Oms, che chiedeva di togliere la cannabis dalla Tabella IV della Convenzione del 1961, dove era elencata insieme a sostanze come eroina e cocaina. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda che la cannabis resti nell’Elenco I, quello di livello immediatamente successivo al IV, per «l’alta quantità di problemi di salute pubblica» che provoca. Vari studi dimostrano danni comprovati al cervello, soprattutto per i giovani. La concentrazione del principio attivo degli spinelli che oggi si trova “ nella piazza “ è più che triplicato negli ultimi decenni anche per modificazione genetiche e ciò per creare maggiore dipendenza. Tuttavia è indubbio che il riconoscimento dell’Onu costituisce una vittoria simbolica per i sostenitori del cambiamento delle politiche proibizioniste sulle droghe cosiddette ‘leggere’.

La decisione della Commissione è passata per un solo voto (27 a 25, con un astenuto), perché gran parte dei Paesi asiatici e africani si sono opposti. A favore invece quasi tutti gli Stati dell’Unione Europea (Italia compresa, ma esclusa l’Ungheria) e delle Americhe. Il tetraidrocannabinolo (THC) principio attivo della pianta dovrebbe avere proprietà utili nella cura di Morbo di Parkinson, sclerosi, epilessia, dolore cronico del tumore.

Esultano i movimenti e i partiti anti-proibizionista nella prospettiva non farmacologica della cannabis quando ci metterà per riconoscere la necessità di legalizzare a fini ludici di cannabis e cocaina».

Gli effetti della cannabis sul cervello degli adolescenti. Ma sono ancora poco noti i meccanismi molecolari attraverso cui ciò avviene

Il tetraidrocannabinolo (THC) è il principale costituente psicoattivo della cannabis, quello responsabile degli effetti sul cervello e, in particolare, sulle aree della memoria, del pensiero, della concentrazione, del movimento, della coordinazione, della percezione sensoriale e temporale, nonché del piacere e delle emozione, della gioia e della sofferenza.

Come agisce il THC nel nostro cervello?

Agisce in modo molto simile ai cannabinoidi prodotti naturalmente dal nostro corpo. Il nostro organismo, infatti, ha una sorta di cannabis endogena rappresentata dagli endocannabinoidi: si tratta di neurotrasmettitori di natura lipidica che si legano a recettori presenti in alcune aree del cervello (quelle associate alla cognizione, memoria, appetito, piacere, alla coordinazione e percezione del tempo) e, così facendo, provocano tutta una serie di effetti.
Il THC si lega agli stessi recettori degli endocannabinoidi e, attivandoli, influenza le stesse zone del sistema nervoso. La mia riflessione si focalizza sull’adolescenza perché è la fase in cui il nostro cervello è in continua crescita a svilupparsi e costruire connessioni, periodo in cui si vivono le esperienze affettive e della sessualità, in cui il confronto con i pari riveste una dimensione di esperienza unica per la formazione dell’uomo. È importante capire gli effetti, anche collaterali, del THC sul nostro corpo a distanza di anni per rispondere a chi considera la cannabis una sostanza per cui non crea alcun problema, secondo cui hashish e marijuana “non sono droga”, e non esistono di conseguenza problemi derivanti da essi.

EFFETTI DELLA CANNABIS I derivati della cannabis sono ricercati come droga ricreativa perché producono un’ alterazione dello psichismo, consistente in una modificazione dello stato di coscienza, con euforia, rilassamento, cambiamenti nelle percezioni quali distorsione del senso del tempo e intensificazione delle normali esperienze sensoriali, come mangiare, ascoltare musica, guardare film, fare sesso. Usato “socialmente” provoca riso contagioso e parlantina sciolta. Dall’assunzione di cannabici derivano effetti cognitivi marcati sulla memoria e sulle associazioni. Sono allentate le funzioni di controllo motorio e il tempo di reazione. E’ tipica una disinibizione psicologica che si associa ad una disinibizione comportamentale. Accanto alle reazioni “desiderate”, spesso se ne producono di “non desiderate”, specialmente nei “fumatori” poco esperti, come ansia, reazioni di paura fino al panico, terrore di “uscire pazzo”, sentimenti acuti di disforia e di depressione.

IL PROBLEMA CLINICO Secondo Hall e colI (1995), autori della più recente, equilibrata, aggiornata, e discussa (AA.VV. 1996) monografia sugli effetti dell’uso di cannabis, le conseguenze acute e croniche, fisiche e psichiche, possono essere riassunte come segue. Effetti acuti • Ansia, disforia, panico e paranoia, specialmente in “fumatori” non sperimentati o in soggetti che ricevono THC a fini terapeutici. Anche “fumatori” esperti possono subire fenomeni del genere dopo ingestione orale di preparati di cannabis. • Compromissione cognitiva, soprattutto a carico della memoria e dell’attenzione. La memoria a breve termine è compromessa e le associazioni mentali sono allentate. Questo distacco dalla realtà contingente è la base dello sviluppo di piacevoli vissuti fantastici mentre rende difficile sostenere una attività psichica finalizzata. Compromissione di funzioni psicomotorie, con aumento del rischio di incidenti se una persona intossicata guida un autoveicolo.

Mettere sullo stesso piano la farmaceutica della THC ottenuto dalla cannabis e la sua legalizzazione come sinonimo già precedentemente definito di libertà e di svago è una mera azione per rendere il futuro compromesso di molti giovani.

I giovani e la D.A.D.: Una riflessione nata dal confronto con studenti e genitori

Ormai da qualche settimana anche per gli studenti veneti di ogni ordine e grado è ripiombato l’obbligo di seguire le lezioni da casa attraverso lo strumento della didattica a distanza (D.A.D.). Fatto che non riguardava tutti gli allievi fin dal marzo del 2020. Infatti finora solamente gli studenti delle scuole superiori usavano lo strumento delle videolezioni gestendo così la didattica. A parte per qualche particolare istituto dove la presenza diventa necessaria per l’esperienza in laboratorio.

Ma qual’è l’opinione in merito alla D.A.D.? Quali sono gli atteggiamenti e cosa pensano i ragazzi sulle videolezioni? Che effetti sta avendo nella formazione degli allievi sia per l’area degli apprendimenti che sulla crescita personale?

In questo periodo di Pandemia, noi operatori del centro COSP-ASTORI abbiamo avuto la possibilità di incontrare e interagire con gli allievi delle classi prime e seconde superiori all’interno del progetto formativo sull’emergenza COVID “Raccontati un po’”, facendoci un’idea su alcuni effetti e ricadute del D.A.D. La prima impressione generale è che le opinioni siano quasi in parità fra chi preferisce la D.A.D. e chi invece previlegia l’apprendimento e la lezione in presenza. La percentuale degli studenti che preferiscono la presenza è leggermente maggiore, ma non ha una incidenza così rilevante come ci si poteva aspettare. Questo ci ha fatto riflettere sul fatto che i ragazzi tendono a considerare la D.A.D. sotto due aspetti differenti: gli apprendimenti da una parte e il poter stare insieme con i compagni in presenza dall’altra. Dal punto di vista della didattica e degli insegnamenti emerge che i giovani preferiscono le lezioni a distanza in quanto riescono a gestire in modo più semplice il carico di lavoro e le spiegazioni con gli insegnanti. Eccezion fatta per alcune materie per loro più difficili.

Dall’altra però, pesa molto che non andando a scuola sono limitati nel poter vedere, vivere e incontrare i propri compagni. Spesso i loro interventi manifestano il dispiacere di non poter stare assieme, né confidarsi, ridere, o scherzare. Così come scambiarsi un abbraccio, o magari mangiare un panino assieme. Cioè poter condividere, aspetti e realtà della loro vita, con quelle persone che sentono più vicine: i propri amici. E poterlo fare “in presenza, in vicinanza”. La mancanza della “classe come luogo di relazione, confronto e crescita” emerge come un peso e quasi una sofferenza per la maggioranza delle opinioni.

I genitori invece, oltre a condividere queste apprensioni, in maggioranza si preoccupano per la qualità degli apprendimenti temendo un atteggiamento meno impegnato rispetto a quando i figli erano in presenza. D’altro canto non si può non sottolineare che emergano alcuni segnali di rilassamento e di disattenzione negli allievi, motivati anche dal fatto di svolgere le lezioni nella “comodità della propria stanza”. In tal senso sembra che la mancanza di quegli stimoli quotidiani legati all’alzarsi presto la mattina, prepararsi ad uscire, spostarsi per andare a scuola rischiano di incidere sull’atteggiamento dei ragazzi sulle lezioni da seguire, per cui per alcuni la D.A.D. sta diventando una “forma di lezione meno seria”, più distaccata dalla realtà a cui erano abituati. Vuoi per il periodo, vuoi per l’età (14-16 anni) l’attrazione verso le cose più comode e meno impegnative sembra risultare per alcuni un coefficiente importante e negativo, nell’equazione “scuola uguale studio uguale impegno”.  Quasi fossero in attesa di tempi migliori.

La D.A.D. per la maggioranza degli allievi sembra comunque una valida e possibile soluzione rispetto la necessità di protezione dall’emergenza che stiamo vivendo. Ma questa scelta non può sostituire tutte quelle relazioni, contatti e vicinanze proprie del condividere momenti ed esperienze di socializzazione che i ragazzi cercano e di cui hanno così bisogno.

In aumento le richieste di separazione e divorzio

In questo periodo già colmo di incertezze e inquietudini dovute alla pandemia Covid19, è emersa una nuova emergenza che colpisce il cuore del matrimonio e di conseguenza l’integrità delle famiglie.

I dati specializzati ci riportano che, proprio successivamente ai mesi di marzo e aprile 2020, presso gli uffici preposti, sono incrementate sensibilmente le richieste di separazione e di divorzio. Tra queste domande purtroppo sono incluse anche le situazioni di violenza domestica che richiedono interventi e prese di posizione da parte delle autorità e dall’intera comunità, in quanto non devono essere assolutamente ignorate e/o minimizzate.

Ma alle altre coppie cosa sta accadendo? Dove ricercare i motivi della crisi coniugale?

Una prima causa oggettiva è senz’altro da attribuire alla “stretta ed obbligata convivenza familiare” imposta dal lockdown, che in alcune situazioni ha facilitato l’accendersi di continui litigi tra i coniugi, dando spazio e sfogo a tutte quelle tensioni sepolte e sopite, che erano state fino a quel momento quantomeno gestite, e in un certo senso controllate, quando la vita quotidiana ante-Covid concedeva libertà di movimento fuori dalle mura domestiche, distanza, indipendenza ed autonomia tra i conviventi.

Indubbiamente su questi litigi avranno pesato anche le preoccupazioni legate alla situazione lavorativa, alle difficoltà economiche possibili, ai rischi per la salute propria e delle persone amate. Così come il senso profondo di paura e smarrimento provato nell’ascoltare e leggere le continue notizie sulla situazione sanitaria. Tutto ciò può aver generato un livello tale di frustrazione che poi si è scaricato all’interno della famiglia e sul legame di coppia.

Infatti per alcuni matrimoni, questo insieme di fattori è esploso in forti litigi, incomprensioni quotidiane anche per i più futili motivi, che hanno portato al desiderio urgente di rottura della relazione. Tanto urgente che, appena è stato possibile con la riapertura delle attività e degli uffici post-lockdown, si sono avviate subito le pratiche per la separazione. Sembra quasi che “il patto coniugale” sia diventato la metafora “del vivere rinchiusi e limitati dal lockdown”. Cosicché appena si è avuta la possibilità di uscire di casa e di riprendere il controllo sulla propria vita, si sia percepita anche l’esigenza di “liberarsi da ogni limitazione” compreso un matrimonio in difficoltà, tutto in estrema velocità, senza lasciarsi del tempo per comprendere ed analizzare ciò che si stava vivendo e le emozioni che si stavano provando.

Ora è vero che non tutte le coppie hanno ferocemente litigato nel periodo più cupo del “tutto chiuso”.  Anche se più di qualcuna aveva in sé qualche conto in sospeso.

Ma ciò che stupisce è il modo con cui si è affrontata questa situazione. Le coppie evidentemente più fragili, che vivevano crisi e conflittualità, hanno perso del tutto l’equilibrio della loro unione. Indubbiamente la convivenza porta alla limitazione dei propri spazi e all’esercizio di una maggiore dose di pazienza, calma e rispetto reciproco. Ma questo aumento in dati percentuale delle richieste di separazione e divorzio, suppone che i matrimoni venivano in realtà già percepiti come un “contratto sociale” più che come un sacramento, e così il legame consacrato come indissolubile, sul quale fondare la famiglia, si è affievolito diventando un “prodotto da consumare” finché se ne ha voglia e fintanto che piace, svuotandolo dei suoi valori e dei suoi significati profondi, a favore di un atteggiamento solo di superficie ed essenzialmente nichilista e in parte rinunciatario.

Mentre, proprio in questo periodo, pare necessario radunare attorno a sé tutte le forze positive, le buone relazioni e anche quei valori un po’ dimenticati, per riuscire ad affrontare non solo i problemi della vita quotidiana all’interno della coppia, ma anche le difficoltà e i pericoli che ci vengono paventati dalla realtà che stiamo vivendo.

E’ primariamente necessario recuperare la pazienza, la forza, la condivisione, la sana chiacchierata, lo stringersi alle persone importanti, per sentire e riscoprire dentro di sé le vere motivazioni che aiutano ad affrontare la vita e queste difficoltà, comprese quelle sempre esistite, ma ogni volta nuove, del matrimonio.

STORIA DELL’ASSOCIAZIONE CENTRO COSPES ONLUS

Il “Centro Salesiano di Orientamento” è stato costituito nell’ottobre 1965, per iniziativa e impulso dell’Ispettore Bartolomeo TOME’, allo scopo di svolgere un servizio specializzato di consulenza psicologica e di orientamento scolastico, professionale e vocazionale.
Ente gestore e promotore è stata l’Ispettoria Salesiana S.Marco, costituita il 27.09.1965.


Il Centro, sotto la guida del Prof. Severino DE PIERI, Direttore, dipendeva dal Consiglio di Amministrazione dell’Ente e il Direttore del Centro faceva parte del medesimo Consiglio.
Il Centro ha svolto, fin dall’inizio, una molteplice attività di consulenza e di orientamento, a favore anzitutto del Collegio Salesiano Astori, presso cui ha la sede, degli altri Istituti Salesiani del Veneto orientale e in risposta alle richieste di giovani e famiglie del territorio delle Province di Treviso e Venezia. In particolare il Centro, aperto tutta la settimana, ha destinato due giorni fissi, il martedì al Consultorio psicopedagogico per ragazzi e adolescenti, e il venerdì per consulenza vocazionale a seminaristi, religiosi e religiose. Nel medesimo anno 1965 ha contribuito alla fondazione del Centro di orientamento FMA di Conegliano.

 

Durante il 1966 il Centro trova la sua sistemazione al secondo piano della nuova ala del Collegio Astori predisposto dall’Arch.Carlo MONTIBELLER. La sede comprende: sala d’attesa, segreteria, direzione, sala clinica per esami psicologici, sala medica con biometria e cabina silente, sala per l’orientamento professionale e vocazionale, sala per colloqui e psicoterapia, aula prove collettive e biblioteca specializzata.

 

Il 14 dicembre 1966 è stata inoltrata al Ministero della Pubblica Istruzione, sezione terza, la pratica per il riconoscimento e il sovvenzionamento. Il Ministero ha risposto il 17 marzo 1967 al Provveditore agli Studi di Treviso, dichiarando di tenere in considerazione il Centro e la sua attività educativa e sociale. Su richiesta del Provveditore agli Studi di Treviso è stata stipulata la prima convenzione per l’anno scolastico 1968-69 a favore dei plessi scolastici gravitanti attorno al Centro e nella provincia di Treviso.

E’ il periodo delle Convenzioni che, per un decennio, il Centro di orientamento stipula con il Provveditorato agli Studi, sia per l’orientamento scolastico e professionale che per il servizio socio-psico-pedagogico a favore dell’intera provincia di Treviso. Ciò ha consentito di prestare un aiuto gratuito ad un grande numero di allievi nell’età evolutiva.

Nel 1968 il Centro Salesiano di Orientamento di Mogliano Veneto è socio fondatore dell’Associazione Nazionale COSPES.

Nel periodo 1968-1970, per impulso e apporto del Centro di Mogliano, sorgono nell’Ispettoria Veneta Est i Centri di Orientamento di Pordenone, Udine e S.Donà di Piave, dotati di personale, locali e attrezzature, come il Centro promotore di Mogliano Veneto. In tal modo l’Ispettoria Veneta Est è quella che in Italia ha avuto fin dall’inizio 4 Centri salesiani di orientamento.

Il 16 agosto 1971 il Centro COSPES di Mogliano Veneto ottiene, assieme ad altri Centri salesiani, il riconoscimento di idoneità tecnica da parte del Ministero del Lavoro, con protocollo OAPL/III/C3139, ed intensifica l’attività a favore dei Centri di Formazione Professionale (CFP).

Il 30 novembre 1971 viene stipulata la prima convenzione con il Ministero della Pubblica Istruzione e il Provveditorato agli Studi di Treviso per il servizio di consulenza medico-psicopedagogica a favore degli alunni portatori di handicap.
Ciò ha permesso al Centro di inserirsi nel vasto movimento che porterà all’integrazione degli handicappati nella scuola e nel lavoro, prestando un servizio gratuito ai giovani più bisognosi e più svantaggiati.

Dal 1979, con il passaggio dell’orientamento alle Regioni, inizia il periodo delle convenzioni con la Regione Veneto per i servizi di orientamento professionale e la sperimentazione per l’handicap.

Durante gli anni ’80 il Centro si struttura in un servizio pluriprofessionale, con 5 équipes di 20 operatori nel totale:

– orientamento scolastico e professionale;
– consulenza psicopedagogica e vocazionale;
– servizio di orientamento all’handicap;
– educazione familiare e Scuole Genitori;
– attività di ricerca con pubblicazioni periodiche.

Il 31 gennaio 1983 il COSPES si è costituito come ditta individuale, allo scopo di stipulare convenzioni e gestire operazioni fiscalmente corrette.

Cinque anni dopo, e cioè il 22 febbraio 1988, è stata costituita l’Associazione denominata “Centro COSPES”, registrata ufficialmente, con Atto Costitutivo e Statuto, allo scopo di promuovere iniziative idonee all’orientamento scolastico, professionale e sociale, all’ assistenza e consulenza psicopedagogica, con particolare riferimento all’integrazione socio-lavorativa degli handicappati e al recupero dei giovani a qualsiasi titolo disadattati o emarginati. E’ perciò un’associazione no profit e di utilità sociale (Onlus).
In tal modo il Centro ha potuto attuare la prevenzione, la cura e l’inserimento socio-professionale di soggetti svantaggiati e collaborare con Enti pubblici e privati per l’attività di orientamento, consulenza, assistenza. In particolare ha potuto svolgere azione qualificata di ricerca, documentazione, sperimentazione, studio di metodologie ed elaborazione di sussidi appropriati in rapporto ai fini che l’Associazione stessa persegue, anche con l’organizzazione di Convegni ed altre iniziative pubbliche.

Il 01 aprile 1991 è deceduto il compianto prof. Alessandro FELTRIN a 81 anni di età, per oltre 20 anni collaboratore del COSPES di Mogliano.
Nel settembre 1994 collabora con il Centro il prof.Elio FINOCCHI proveniente da quello di UDINE affiancandosi al Prof.Severino DE PIERI, chiamato,nel medesimo anno, a svolgere anche il ruolo di Preside della Scuola superiore Internazionale di Scienze della Formazione (SISF), promossa dall’ISRE di Venezia S.Giorgio per la formazione di operatori a livello di master di qualificazione e specializzazione post-lauream.

Dal 1996 il “Centro COSPES” collabora con la Scuola superiore Internazionale di Scienze della Formazione (SISF/ISRE Mestre-Venezia), diventata IUSVE aggregata all’U.P.S. di Roma nei Corsi di Laurea Triennale e Specialistica in Psicologia dell’Educazione e Clinica, Laurea Triennale in Pedagogia Sociale, frequentati anche da vari operatori che collaborano con il Centro medesimo.

Il Centro è recensito tra le 9 strutture orientative di eccellenza a livello nazionale (Ministero del Lavoro, Rapporto finale della ricerca “Seconda indagine nazionale sui sevizi di orientamento 1988, Roma 1999, p. 174).

In data 17.09.2000, a seguito di incidente stradale, è deceduto il Prof. Elio Finocchi.

A seguito del processo di accreditamento delle sedi orientative e di formazione messe in atto dalla Regione Veneto, con decreto n. 180 del 24.02.2003, il Centro COSPES Onlus di Mogliano Veneto è stato iscritto come Organismo Accreditato Cod. Ente 483 – Elenco A0030.

Con Decreto n. 40 del 09.02.2006 il Centro COSPES è stato registrato dalla Regione Veneto come Associazione di Volontariato di Promozione Sociale (Registro regionale PS/TV67).

Da luglio 2009 è iscritta nell’elenco regionale degli Enti accreditati nei Servizi al lavoro (art. 25 Legge Regionale 3/2009; DGR 1445 del 19.05.2009) in tutte le aree di prestazione:

  1. Accoglienza e informazione,

  2. Valutazione del caso individuale,

  3. Mediazione per l’incontro domanda e offerta,

  4. Definizione di un progetto individuale di un accompagnamento al lavoro.

Dal 29/12/2010 è iscritta al n. 621 del Registro Regionale delle Persone Giuridiche di diritto privato con lo Statuto rinnovato e con la nuova Carta dei Servizi: Orientamento scolastico, professionale e sociale; Consulenza e formazione psicologica e pedagogica; integrazione socio lavorativa dei giovani e degli adulti; Studio di metodologie ed elaborazione di sussidi utili per l’inclusione sociale. E’ di primaria importanza lo svolgimento di Servizi in sussidiarietà con gli Enti pubblici nelle funzioni accreditate nell’ambito del terzo settore.

Negli anni 2008-2010 il Centro ha partecipato ai seguenti Progetti FSE: 1) ORIOR “Imparare a scegliere (2008-2009) e ORIOR “Educare a scegliere” (2009-2010); 2) Progetto Jm-Net: reti transazionali di mobilità professionale per l’inclusione occupazionale e sociale dei lavoratori migranti (2008-2010).

Dal 2010 al 2013 ha lavorato per il Progetto Doti di formazione della Regione Veneto (per i lavoratori in CIG e Mobilità in deroga) con la presa in carico di 248 lavoratori per i quali sono stati completati i moduli di formazione previsti dal PAI. I risultati dell’attività svolta sono stati pubblicizzati nel Convegno: “Human Resources and Lean Organization – Il lavoratore come risorsa fondamentale dell’organizzazione”, del 23.02.2013 e “Strategie & Sicurezza – Relazioni umane come fattore di successo aziendale; una prospettiva futura per le imprese” del 24.05.2013 promossi dal COSPES e patrocinati dalla Regione Veneto, dalla Provincia di Treviso e dal Comune di Mogliano.

Dal 2013 al 2018 furono anni difficili tra lavori e cambi di rotta e iniziative differenti, che terminarono con la morte del fondatore prof. Severino de Pieri lasciando un vuoto nella gestione del centro.

Successivamente divenne direttore don Gabriele Quinzi che diede nuovo impulso fino agli anni 2020, quando diventò operativa l’idea di trasformare il centro COSPES in centro COSP inserendolo organicamente dentro alla struttura del collegio salesiano “Astori”.